In questi giorni è in mostra al Museo internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori di Abano Terme la mia installazione site – specific “Non possiamo lavare via tutto”, una delle 15 opere selezionate per re-interpretare il patrimonio della famiglia Sartori, attraverso due appuntamenti e due eventi distinti: Emulate #1 ed Emulate #2.
Ispirata alla simbologia della maschera Erinni, l’opera è un’ istallazione – micro narra azione , che si sviluppa come una confessione personale, resa nella forma di testo e immagini.
Le immagini sono autoritratti e personificano le Dee demoniache, come la parte dell’anima ferita mortalmente dalle violenze subite, che appaiono anch’esse sbiadite e lenite appunto solo apparentemente, poiché emblematiche di una giustizia morale che troppo spesso resta, prima del crimine stesso, disattesa.
Il filo conduttore di ogni testo è “l’apparenza” come testimonianza, prova inconfutabile ed evidenza, raccolta di prove e pensieri; tutto ciò che esprime e regola un codice morale umano condiviso alla luce che, attraverso il linguaggio mediato delle immagini (del corpo del volto e dell’azione rituale) è manifestazione e interpretazione della giustizia con i suoi diversi e molteplici volti e mascheramenti, il suo percorso accidentale ad esito casuale.
Il corpus del progetto è costituito da: un’ opera autobiografica realizzata attraverso 6 self portrait che in successione narrano allo spettatore “mutando sembianze ed espressioni” la propria storia in tre atti (di perdono di vendetta di giustizia);
ed un collages fotografico, che si compone di di 48 stampe (in B/N) di un testo con caratteristiche di monologo “illeggibile”, come se fosse stato bagnato e quindi sbiadito dall’azione dissolvente dell’acqua.
La superficie “a specchio” scura e al tempo stesso riflettente del mosaico è metafora di un profondo “pozzo della coscienza”, da cui affiorano come “maschere spettrali” i sei ritratti (trasfigurati intimamente dall’azione incessante e spietata della violenza subita) che qui, prendono parte ad un’ azione corale agita sul piano della forma e del contenuto.
Infatti, parti del testo della tragedia si fondono con frammenti mnemonici che ri- emergono come racconto, flash back di un vissuto incancellabile. Le due narrazioni sono fuori fuoco e sbiadite come per effetto di inchiostro su carta bagnata, che dilata e disperde la scrittura.
Credo e lo dimostro con ostinazione nella mia vita e nella mia arte che, un’artista ha il dovere di mostrare e portare alla luce le cicatrici più profonde e remote dell’anima e del corpo . Penso che lo dovremmo fare tutti. Nel tempo, mutano i segni e la fisionomia del dolore nei nostri corpi; Possiamo ricomporre una storia persino riscriverla o tentare di cancellarne la memoria, nel tentativo di lavar via ogni sua macchia, rispecchiarci nelle sofferenze trasudanti dal pozzo della nostra coscienza che urla e sprofondarci dentro, oppure… accogliere il dolore e lo sporco che resta di ciò che è stato lavato via.
La realizzazione di quest’opera ha rappresentato per me l’opportunità di raccontare e tradurre in parole ed immagini, utilizzando simultaneamente due binari linguistici, una “tragedia” personale, con la responsabilità e l’impegno propri di chi attribuisce all’operazione artistica un valore di portata universale.
Non possiamo lavare via tutto…