Storie di schianti. Fratture. Infrazioni.
Diario infranto
Alcuni fatti nella vita, inspiegabilmente, si ripetono. Scorgere la complessità dei fenomeni temporali e spirituali, ed entrare consapevolmente in empatia con questo moto vorticoso, usando la definizione di Valéry «Il tempo – sensazione – interruzione – scarto – ritardo -attesa», comporta un meccanismo d’azione d’urto che, secondo lo scrittore, deve agire sul presente, come forma che deve essere infranta.
Da qui nasce il mio progetto di diario d’artista
“Diario infranto”, raccolta di: appunti, poesie, riflessioni, di immagini statiche come fotografie, disegni ed immagini in movimento, estrapolate da riprese video, vecchie proiezioni, registrazioni sonore, ecc.,.
Storie di schianti. Fratture. Infrazioni.
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Testi / Texts
(Foto Monologhi interiori)
Di seguito la pubblicazione di alcuni estratti dei principali Foto Monologhi dell’artista.
L'inventario Mosche atto I Corpus Prophetias
Con-fini gesti mute azioni Tracce_mnestiche_percettive Nasco-sta
Rosso Rimosso L'Inventario Atto I-II-II Mosche...Niente di personale se vengo da Marte Atto II Cercare Cercarsi Frammentario Riflessioni Riflesse Io danzo le parole
L’inventario (nella stanza della mia vita un arredamento sobrio) Il rumore delle parole genera il rumore delle persone. Genera il rumore delle parole. Come ti chiami chi ami? nel mio nome nel tuo nome nello spirito di tutte le cose il figlio genera Il padre genera la progenie il gene nell’era E sarà così. anche se non ci piace. Ho fatto l’inventario le parole usate il grandangolo ingombrante diceva e sentiva la vita dentro è l’onomatopea di un corpo acuto come il dolore. Il rumore delle parole genera il rumore delle persone. Il rumore delle persone genera il rumore delle parole. il rumore delle parole genera il rumore delle persone. E tu sentirai le ossa svuotate di silenzio. da: (“L’inventario del corpo onomatopeico”) * |
The Inventory (In the room of my life a sober decor) The noise of the words creates The noise of people It generates the noise of words The noise of the words creates The noise of people It generates the noise of words. What’s your name? Who do you love? In my name In your name In the spirit of all things Son generates Father generate The progeny The gene in the era it will be so although we do not like it. # I did the inventory The words used The bulky wide-angle She said and felt Life inside is the onomatopoeia of a body Acute such as the pain. The noise of the words creates The noise of people It generates the noise of words The noise of the words creates The noise of people It generates the noise of words. And you will feel the bones emptied of silence. (From: “inventory of the onomatopoeic body”) * | |
(Take what you read and see for what it is not). 1. It is not healthy to take self-portraits and talk about yourself. The fly would not. 2. When I decided to make my monologues photos I didn’t have flies in mind. And of this I have sinned. But never get off the fly at the right stop, this is pure arbitrary madness. Certainly a certain one who invented the inner Monologue had to do with flies and background noise. How much psychic energy wasted lady! From my point of view it was anything but waste, an exponential infinitely increasing number of thoughts, visions that accelerated the prophecies of my life. Flies. I entered a claustrophobic installation, the high dose for taking the metro and getting off at the stop earlier. I was dizzy yesterday. 4 60-inch screens recreate the space of the four home walls. Yesterday it was hot I fought a gnat thirsty for my blood. The plasma surface is disturbed at the bottom of the screen by an insect that scratches on the orange peel wall. Another screen behind me shifts the point of view, throwing your gaze from top to bottom, framing the upholstery of an ordinary sofa and up and down and then to the right and left, I feel seasick. I no longer see with my own eyes. Today I see it as a fly. Yesterday I was dizzy and I fought a fly. That’s all. A fly, seasickness, a point of view that then it is mine or the fly I understood that it does not change if we are all capable of living. What about the recommendations for abuse? Here yes, those are needed because writing about yourself is a development process in the dark (as in a dark room) slow and lonely. A spiritual retreat. 3. refrain from improper use, and not really. It is not a cure and can cause serious reactions. Following the advice is better than the doses. Otherwise abstain completely. Zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz * | |
CORPUS PROPHETIAS “I ask my body to..” I asked my body to feel * | |
Con_ fini_ gesti_ mute_ azioni Queste mani non perdono piume le hanno inchiodate su f(ala)ngi di carne ed ossa conficcate ad armature corrose dalla ruggine del tempo Centri (fughe) di arti amputati fantasmi gestuali che sovrimpressionano nel ritmico coagulo del battito la lastra consumata della vita. Forse è per questo motivo che il sangue trasfuso ha il sapore di un chiodo? * | |
Tracce_mnestiche_percettive (Rinascite) Un tempo mi staccavo dal mio corpo. così per gioco. Sperimentavo itinerari epidermici tensioattivi all’apice del sigillo fino allo strappo dalle vestigia, da questa unità di misura di tutte le cose umane e terrene: il peso. Siamo fatti della stessa sostanza del dolore Partoriti nutriti seppelliti. Ho mai ricordi di me espulsa e vissuta ? Soste aggrappate al ricordo con-fuso di un sogno. Perimetri di atti-tudini all’essere moltiplicato diviso sottratto Esposto ad Algebriche incognite. Paralisi Perdite…Parole. Spogliati siamo il respiro di nulla. O tutto. * | |
Nasco-sta Lacerate acque Voci che mi chiamano Le senti le grida gracide ? Gratitudini ? Metto la biacca una passata o due uniforma la superficie Tutto già scritto tutto da riscrivere Ogni domanda. Era planare l’utero? C’erano doglie alla soglia del paradiso? * Amara mi svegliavo ogni mattina. Mi assaggiavo controvoglia. Il sapore della giornata lo pregustavo dall’alba era il vizio delle cose che non puoi condividere o spacciare. Nessuno le vuole provare. * Deve proprio passare sopra il mio cadavere e fermarsi qui a far esercizi di autopsia? Sarà breve. Conterò. Al mio tre spingi. Ero ugualmente assopita trascinavo gesti lenti pesanti parole nuotavano contro corrente per riscendere giù per l’esofago. Tre non può bastare devono passarci due mani e due piedi! La compagnia di un disprassico sarebbe stata di gran lunga auspicabile e più fruttuosa di questa leziosa lezione di economia domestica. * | |
Atto I la fotografia non é uno stato mentale la radiografia di un paesaggio segreto il ricordo dell’eden perduto. Avvicinati abbastanza per sentirlo… È un urlo. Che proviene dagli abissi di un universo che si dispone per noi tappezzando di bellezza orrore meraviglia ogni forma scaturita espulsa sputata dal vortice della contrazione ancestrale. Sei mai rimasto abbastanza sulla soglia di un urlo? Hai orrore per le piccole fottute aspirazioni terrene? E poi é silenzio. Nei cimiteri ogni fisionomia é esposta come il capolavoro ultimo della propria vana gloria il rumore del silenzio dirige l’orchestra dell’andirivieni di transitori passi solenni e gesti floreali. Il rumore del colore spento dei gigli dei profumi sbiaditi del ricordo offerti sull’altare del tempo. Cosa spezza arresta interrompe più del rumore o…del silenzio? Atto II Sto dicendo che non c’è niente e non sto dicendo che non c’è niente. È la contraddizione originaria l’insensatezza a senso unico che percorre il folle sul filo teso dell’inganno lì e altrove e ovunque o dappertutto. Distillato soave di sobria poesia per dissetarmi quando smarrimenti (ruminando ossessioni e ibride speranze) Prosciugheranno la riserva delle illusioni. Fantasmi gestuali proiettano forme. Ombre appannate. Incompiute. le ripetute movenze delle farfalle non spengono il sole La luce tra le pieghe dell’estate ne rivela segreti sbriciolati. Ho fatto l’inventario. E le parole usate e le idee sgorbiate e il grandangolo ingombrante shhhhhh, parla o stai muta: La vita dentro é l’onomatopea di un corpo, acuto come il dolore. Diceva e sentiva: non sono immune anche se m’hanno attenuato l’insulto anti corpale Sono ebbra d’ infelicità. Atto III … * | |
Mosche…Niente di personale se vengo da Marte, cap. II Selezionare il campo visivo. Non guardare. E’ un essere infelice. Educazione infettiva. Non toccare. Non ti invischiare. Le mosche si posano ovunque. . . . (Ma si lasciano avvicinare hanno ali argentee ricamate) * | |
Cercare Cercarsi Ascoltare ascoltarsi Cercare cercarsi 123456789 Chi c’è c’è chi non c’è non c’è mai stato getta il sasso nel pozzo o sarai ritrovato chissà dove chissà dov’è Prendi fiato prendi fiato Ascoltare ascoltarsi Cercare cercarsi Chi c’è chi c’è? C’è chi c’è? Sospiri… * | |
Frammentario Raccontarsi è come comunicarsi. E’ l’eucarestia della rivelazione. L’incipit Ho smarrito per la durata di in tempo indeterminabile la mia ispira azione, la funzione respiratoria di immettere nei polmoni la mia aria: l’Arte. Allora non usavo lo specchio, usavo la memoria. Il ricordo di me. Era un’immagine di me, un ricordo di me che corrispondeva a uno stato d’animo, ad un’impressione, a una sensazione che registravo in quel momento. Anche qui sono io, ma un io che non conosce una dimensione soggettiva, e neanche una dimensione temporale o spaziale. C’è uno spazio, chiuso, di una stanza di una camera, che resta indefinito. Il mio laboratorio il mio atelier è là fuori, dove mi sento più esposta e perciò fragile. La fragilità amplifica i miei istinti e satura le percezioni. Qui il cielo e La luce sono potenti attivatori…la mia arte arriva da lontano. Penso alla pittura veneta, che ho ammirato, un bagno di luce e colore crea l’illusione di uno spazio, dove l’umanità si espone nella rappresentazione della vita. Il movimento, l’improvvisazione il coinvolgimento dell’osservatore, che oggi così come ieri, è parte di quello sguardo, che fissa ciascuno, attore e spettatore, collocandolo scena dopo scena, nel tempo e nella storia. Oggi porterò questo ed altro fuori da qui fuori dal tempo ma sempre, idealmente, all’interno di quella stessa cornice. Un inedito di me. Le domande sono sempre meglio delle risposte. Io farei interviste di sole domande. Non sono forse le domande che ci accomunano più delle risposte? Bisogna anche, soprattutto, averne “il talento” per farle. Per me lavorare all’aperto, significa catturare tutta la luce e l’energia possibile. Come una pianta. La vita, si riproduce sotto forma di gesto. Esco ma entro al mio interno. C’è un indizio che accomuna le mie opere, tutto è il contrario di ciò che può apparire… Essere visti, essere sorpresi, essere ascoltati. Siamo tutti spettatori con un ruolo assegnato dal destino. Non esiste la neutralità, né al di qua né al di là di questo fragile schermo, nel tragico gioco della vita. Forse, la mia arte, è solo un effetto collaterale della mia resistenza alla cura. A Tante parole corrispondono tante più omissioni. Alla fine quella che è la chiave di lettura di tutti i miei lavori ritengo sia la distanza, un’opera che non si lascia osservare ma che ci osserva, che osserva se stessa dall‘altra parte. * | |
Riflessioni Riflesse Fulgide trame riflesse da schermi fantasma metafore prismatiche come il velo che indosso. Rifletto riflessi unita nel tutto. * | |