Le pietre scheggiano l’anima
“Lo sai. le anime sono pietre e le pietre scheggiano l’anima.”
Si chiamava Rosa,
un nome per tanti anni caduto nell’oblio come il profumo di un fiore appassito.
Si riaccese quel ricordo in me quasi per caso, durante un gioco di libere associazioni.
Di lei mi restava la foto di una lapide monumentale, un luogo familiare e una mappa.
Forse lui l’amava per l’ evanescenza vellutata del suo nome e per la bellezza pungente ed acerba di donna algida e malinconica, un presagio o un segno già tutto contenuto nell’essenza di quel fragile nome.
Aveva creato per lei un regno di fiaba, un parco arboreo popolato da sculture dal gusto neoclassico mescolando insieme la pietra grezza al più raffinato e vivo dei materiali, il marmo.
Per lei scolpiva fontane decorative impreziosite dagli zampillanti giochi d’acqua, i diversi suoni della natura si confondevano coralmente in un’ unica voce, mentre i loro otto figli giocavano con i cavalli lasciati liberi nel grande spazio aperto, ancora ignari del destino che li avrebbe strappati prematuramente alle loro vite spensierate.
Ecco, ora erano come fiori di campo selvaggi, dispersi per sempre in un cimitero di guerra.
Elena, la più piccola e l’unica femmina di otto fratelli, era rimasta sola.
Il tempo trascorreva e lei cresceva spensierata e felice nella terra delle ginestre. spiava i segreti degli arditi esperimenti paterni imparando il nome di ogni fiore e qualche volta assisteva alla nascita di nuove e miracolose specie ibride, partorite da innesti sperimentali.
Continuava a pensarci ai giochi spericolati che faceva con i suoi amati fratelli, che ancora aspettava al di là del grande cancello e viveva ogni dì nell’illusione di poterli riabbracciare un giorno.
Mentre entravo nei suoi ricordi un velo di nostalgia inumidiva i suoi occhi ed io le ero grata di avermi fatta parte di quelle memorie, anche per il solo tempo di un racconto.
Elena sbocciava come un fiore di rara bellezza nel suo reame d’amore, arte e natura e, per la più bella delle infiorescenze, arrivò il tempo di lasciare quel mondo….
Quelle presenze assenti divennero presto pensieri reali, ombre vive che si muovevano accanto a lei in una realtà parallela e che sembravano, anche a distanza di tanti anni, come riprendere vita dalle fotografie ingiallite, ogni volta che, uscite dai cassetti della memoria, lei le riportava alla luce.
Le teneva tra le dita affusolate e tremolanti avvicinandole agli occhi, sembrava parlar loro sussurrando strane parole che io non capivo ma che immaginavo su per giù così:
“Le anime sono pietra viva e le pietre scheggiano l’anima.”
Notte insonne ed agitata
vampiri assetati e petulanti stordivano le mie carni sfinite.
Mi ritrovò in un bagno di sudore.
Sollevó su di me qualcosa simile ad un tessuto leggero della consistenza di un velo.
Lo muoveva spostando delicatamente l’aria con grazia muta.
Un raggio di luna ricamava in trasparenza i sottili filamenti delle fibre della trama, sempre meno nitida e confusa tra sonno e veglia.
Lentamente non sono più.
Lentamente
La notte dorme. Ora.
Quando riaprii gli occhi al risveglio, lei stava ancora innanzi a me immobile ed instabile come una statua vivente a sorreggere il suo peplo.
Mentre usciva dalla stanza vidi una strana scia che la inseguiva…
il ricordo è una formula chimica che inverte il tempo.
Le trasformazioni non sono perdite.
Mi tuffo in questa fonte del tempo
riempita da una giostra di zampilli e sole.
Le rane nuotano.
Quando al calar delle luci
nell’umido specchio
Si inabissa la notte,
Esse cantano.
Hanno completato la loro muta.
*