Raccontarsi è come comunicarsi. E’ l’eucarestia della rivelazione.
L’incipit
Ho smarrito per la durata di in tempo indeterminabile la mia ispira azione, la funzione respiratoria di immettere nei polmoni la mia aria: l’Arte.
«Inspirazione ed espirazione dell’Essere, respirazione nell’Essere»
(Maurice Merleau-Ponty, L’Oeil et l’Esprit 1960)
Allora non usavo lo specchio, usavo la memoria. Il ricordo di me. Era un’immagine di me, un ricordo di me che corrispondeva a uno stato d’animo, ad un’impressione, a una sensazione che registravo in quel momento.
Anche qui sono io, ma un io che non conosce una dimensione soggettiva, e neanche una dimensione temporale o spaziale.
C’è uno spazio, chiuso, di una stanza di una camera, che resta indefinito.
Il mio laboratorio il mio atelier è là fuori, dove mi sento più esposta e perciò fragile.
La fragilità amplifica i miei istinti e satura le percezioni. Qui il cielo e La luce sono potenti attivatori…la mia arte arriva da lontano.
Penso alla pittura veneta, che ho ammirato, un bagno di luce e colore crea l’illusione di uno spazio, dove l’umanità si espone nella rappresentazione della vita.
Il movimento, l’improvvisazione il coinvolgimento dell’osservatore, che oggi così come ieri, è parte di quello sguardo, che fissa ciascuno, attore e spettatore, collocandolo scena dopo scena, nel tempo e nella storia.
Oggi porterò questo ed altro fuori da qui fuori dal tempo ma sempre, idealmente, all’interno di quella stessa cornice.
Un inedito di me.
Le domande sono sempre meglio delle risposte. Io farei interviste di sole domande. Non sono forse le domande che ci accomunano più delle risposte?
Bisogna anche, soprattutto, averne “il talento” per farle.
Per me lavorare all’aperto, significa catturare tutta la luce e l’energia possibile. Come una pianta.
La vita, si riproduce sotto forma di gesto. Esco ma entro al mio interno.
C’è un indizio che accomuna le mie opere, tutto è il contrario di ciò che può apparire…
Essere visti, essere sorpresi, essere ascoltati. Siamo tutti spettatori con un ruolo assegnato dal destino. Non esiste la neutralità, né al di qua né al di là di questo fragile schermo, nel tragico gioco della vita.
Forse, la mia arte, è solo un effetto collaterale della mia resistenza alla cura.
A Tante parole corrispondono tante più omissioni.
Alla fine, quella che è la chiave di lettura di tutti i miei lavori ritengo sia la distanza. Un’opera che non si lascia osservare ma che ci osserva, che osserva se stessa dall‘altra parte