L’ automedicazione la esponeva alle sue perdite alle sue amputazioni.
Ero divenuta la spettatrice muta ed impotente di un dramma nosocomiale, involontaria comparsa e scomparsa nello spettacolo della rappresentazione quotidiana della sofferenza.
Le sue gambe ora erano come tronchi spezzati, ed io avrei voluto risentirne i passi veloci, gli spostamenti attraverso gli ambienti familiari come il chiaro segnale della ripresa della sua vita.
Tra di me pensavo che forse, nel tempo, le sarebbero potuti spuntare dei petali al posto dei piedi, attaccati a due saldi steli, che avrei annaffiato con l’acqua più santa e concimato con zolle di terra fertile.
Fantasticavo ed immaginavo così le sue trasformazioni le sue tribolazioni.
Un giorno, dopo molti anni tornò a camminare.
I suoi rami secchi avevano partorito gemme abbastanza vitali da permetterle di scivolare a passetti ritmici e sempre più spediti sul pavimento tirato a cera e, come le rotaie arrugginite di un vagone dismesso di una vecchia locomotiva, di riprendere una volta ancora la loro corsa verso nuove o remote destinazioni.
E’ la violenza della vita che non discrimina, scrive e cancella e riscrive sui nostri corpi come su fogli logori e stropicciati, il triste epilogo di un lieto fine.
*
Ma Liberami ma libe(rami) ma liber(ami) m(a li) berami (ma li) berami. ..
Ph. Str(appare) _ Gelidelune 2011
Cure o Cuore
Ieri volevo raccontarti. ..
Di un giorno prima della fine dell’anno, che mi sono portata alla reliquia di quel
Santo tanto amato e (vene)rato.
Io gli avevo chiesto tutto quello che potevo e tornavo a ringraziarlo.
Non tornavo per me, ché tanto c’è sempre un’urgenza più grande o una paura per un figlio tormentato dalla paura.
Volevo dirlo solo a te, che le anime sono pietre
pietre vive pietre pulsanti.
Sono rimasta così, con la mia mano ferma su una lapide, per tutto il tempo,
a fare il pieno di cuore a cuore.
Volevo correre via uscire respirare volare e dirtelo…
Che il miracolo per me era un cuore che batteva dentro una mano.
Ho pensato a lungo a te, al tuo cu(o)re.
Che solo tu puoi avere per me, cure o cuore.
Io rivendico la libertà di distrarmi perché non c’é niente da insegnare.
Sono ammalata di una malattia che hanno cercato di curare invano.
Sono un ritratto distratto.
L’indifferenza gestisce le mie paure.
Non mi giro tanto mi inquadrerai lo stesso.
Mi vedi se ti avvicini?
Se ti allontani mi nascondo meglio.
Non ti voltare non restare ferma non sorridere.
Siamo tutti dei ritratti distratti.
Hai posato ogni giorno della tua vita.
Ti ho uccisa per distrazione.
Ritratto la mia volontà di vivere.
Siamo esposti ad intemperie casuali.
Le differenze indifferenti.
Non è mai per caso il Caso.
“Lo sai. le anime sono pietre e le pietre scheggiano l’anima.”
Si chiamava Rosa,
un nome per tanti anni caduto nell’oblio come il profumo di un fiore appassito.
Si riaccese quel ricordo in me quasi per caso, durante un gioco di libere associazioni.
Di lei mi restava la foto di una lapide monumentale, un luogo familiare e una mappa.
Forse lui l’amava per l’ evanescenza vellutata del suo nome e per la bellezza pungente ed acerba di donna algida e malinconica, un presagio o un segno già tutto contenuto nell’essenza di quel fragile nome.
Aveva creato per lei un regno di fiaba, un parco arboreo popolato da sculture dal gusto neoclassico mescolando insieme la pietra grezza al più raffinato e vivo dei materiali, il marmo.
Per lei scolpiva fontane decorative impreziosite dagli zampillanti giochi d’acqua, i diversi suoni della natura si confondevano coralmente in un’ unica voce, mentre i loro otto figli giocavano con i cavalli lasciati liberi nel grande spazio aperto, ancora ignari del destino che li avrebbe strappati prematuramente alle loro vite spensierate.
Ecco, ora erano come fiori di campo selvaggi, dispersi per sempre in un cimitero di guerra.
Elena, la più piccola e l’unica femmina di otto fratelli, era rimasta sola.
Il tempo trascorreva e lei cresceva spensierata e felice nella terra delle ginestre. spiava i segreti degli arditi esperimenti paterni imparando il nome di ogni fiore e qualche volta assisteva alla nascita di nuove e miracolose specie ibride, partorite da innesti sperimentali.
Continuava a pensarci ai giochi spericolati che faceva con i suoi amati fratelli, che ancora aspettava al di là del grande cancello e viveva ogni dì nell’illusione di poterli riabbracciare un giorno.
Mentre entravo nei suoi ricordi un velo di nostalgia inumidiva i suoi occhi ed io le ero grata di avermi fatta parte di quelle memorie, anche per il solo tempo di un racconto.
Elena sbocciava come un fiore di rara bellezza nel suo reame d’amore, arte e natura e, per la più bella delle infiorescenze, arrivò il tempo di lasciare quel mondo….
Quelle presenze assenti divennero presto pensieri reali, ombre vive che si muovevano accanto a lei in una realtà parallela e che sembravano, anche a distanza di tanti anni, come riprendere vita dalle fotografie ingiallite, ogni volta che, uscite dai cassetti della memoria, lei le riportava alla luce.
Le teneva tra le dita affusolate e tremolanti avvicinandole agli occhi, sembrava parlar loro sussurrando strane parole che io non capivo ma che immaginavo su per giù così:
“Le anime sono pietra viva e le pietre scheggiano l’anima.”
Notte insonne ed agitata
vampiri assetati e petulanti stordivano le mie carni sfinite.
Mi ritrovò in un bagno di sudore.
Sollevó su di me qualcosa simile ad un tessuto leggero della consistenza di un velo.
Lo muoveva spostando delicatamente l’aria con grazia muta.
Un raggio di luna ricamava in trasparenza i sottili filamenti delle fibre della trama, sempre meno nitida e confusa tra sonno e veglia.
Lentamente non sono più.
Lentamente
La notte dorme. Ora.
Quando riaprii gli occhi al risveglio, lei stava ancora innanzi a me immobile ed instabile come una statua vivente a sorreggere il suo peplo.
Mentre usciva dalla stanza vidi una strana scia che la inseguiva…
il ricordo è una formula chimica che inverte il tempo.
Le trasformazioni non sono perdite.
Mi tuffo in questa fonte del tempo
riempita da una giostra di zampilli e sole.
Le rane nuotano.
Quando al calar delle luci
nell’umido specchio
Si inabissa la notte,
Esse cantano.
Hanno completato la loro muta.
(La marche funèbre, un termine non sempre inderogabile)
Potevo restare attaccata per ore a quel letto dalle spondine tubolari verdi fredde lucide scivolose. Il tempo vi scorreva in mezzo troppo velocemente.
Ecco dovrei salutarti automatizzare il meccanismo dell’ultimo congedo.
Mi chiedevi perché non parlassi cosa mi stesse accadendo. non rispondevo. e pensavo. ti ritroverò.
Era troppo vicino ora-mai il tempo per poterlo colmare con un ineluttabile ad(dio).
Ti ho (bara)ttata. Le anime vendute hanno sempre un prezzo. L’amore non ha prezzo. Ti ritroverò.
Ho calzato i miei passi scalzi preso i fiori le fiabe la stella il fuso orario. le rane.
E’ come una caccia al tesoro segui gli indizi la principessa dal cuore di ghiaccio ti aiuterà. Posso ris(veglia)rti?
Ph. R(I’M)OSSO, 2017
Rosa non é un colore
Ma nemmeno un fiore.
Vivendo dimentichi propositi
Hai riempito per tutto il tempo il calice dei tuoi peccati
Sorseggiato il vino per ubriacare il sangue versato
Spezzato il corpo delle tue remissioni.
La mia pelle non è rosa e nemmeno il mio sesso.
Rosa non è un colore ma nemmeno un fiore.
Era tenue delicato tenero morbido.
Sai cos’era rosa?
L’odore dell’ incerata per assorbire l’urina l’avvolgersi lento quasi sensuale delle fasciature elastiche per proteggere le piaghe e talune nuances di calze contenitive che ricoprivano le vene livide by(passate) ad arte.
Sai cos’era rosa?
Lei era rosa.
Quando era troppo tardi per essere presto rosa era diventato un colore antico.
Tu odiavi ciò che avrei amato e amavi ciò che io avrei odiato.
Tu. Lei no.
Si fermò sull’uscio della stanza furtiva come un’ombra. la sua voce entrò.
Le restano al massimo due settimane di vita (!)
Tutto questo azzurro dissipava anche il cielo.
La pioggia cadeva dentro le mie lacrime.
Appare naturale tu volevi il divano etnico che mormorasse pensieri e fruttasse germogli classificandoli in buoni e cattivi volevi un lieto finale
anche in svendita il mobilio s(fogli) abile
ma questo si poteva pre vedere…
Nel mio nascondiglio con il libro dei fiori pistillo stame petalo corolla numismatica botanica ero nascosta o forse distrattamente dimenticata.
Un tempo espiavo i fiori che nessuno sapeva raccogliere.
*
Il linguaggio segreto dei fiori
Sono i tuoi numeri.
I matti fanno strane congetture vedono combinazioni invisibili
1410 2209 sono i tuoi numeri
principio e fine.
E inizio.
ho acquistato i miei primi occhiali progressivi un prezzo fin troppo caro 666 mi faccia lo sconto il diavolo può aspettare.
Questa casa me l’ha venduta un uomo che mi disse mi chiami al mio cellulare il mio numero è 666… ed io gli risposi di cambiare numero perché il diavolo può aspettare.
conosco i tuoi numeri senza destinazione era il mio viaggio posso giocarmeli
nell’ ultima vita.
I matti fanno strane congetture vedono combinazioni invisibili (se)g(rete).
1410 2209 erano i suoi numeri sono i tuoi numeri
Un principio è una fine è un nuovo inizio.
Ti ricorderai di me?
Qualche anno fa ho preso un’ Ostia sconsacrata era meglio andare all’indirizzo giusto ed abbuffarsi di krapfen erano talmente buoni e piacevano per giunta anche a te.
Il passato crea sempre il futuro solo che non se ne vede per tempo l’ossatura
abbiamo strani occhi!
Una strada per tornare
e così la fine divenne l’inizio era il 22 settembre
All’ indirizzo giusto
Troverai ogni risposta
Perché il passato
Contiene la domanda.